Diario dalla Tunisia - 2012

Parte 1: Appunti del viaggio di Febbraio 2012


9 Febbraio 2012
Partiamo da Tunisi in direzione di alcuni villaggi


Qui hanno vissuto uomini e donne partiti dalla Sicilia dopo la metà del diciannovesimo secolo, quando la Tunisia diventa protettorato francese. Inizialmente sono impiegati nel disboscamento e nella bonifica di alcuni territori, nelle miniere di carbone, e in agricoltura nelle "Ferme" francesi. Successivamente, con fatica e sudore, creano piccole aziende agricole a conduzione familiare, impiegando pure manodopera tunisina.. 
Nei primi anni sessanta del novecento, dopo nemmeno un secolo di permanenza, sono costretti a restituire le terre al governo tunisino, dopo la proclamazione dell’indipendenza dalla Francia.

Malgrado molto sia stato cancellato di quella storia, qualcosa scorgiamo lungo la via. Bisogna comunque farci caso o seguire gli appunti delle letture. Entriamo a Bir Halima. È un villaggio come tanti che incontri nelle strade secondarie e nelle vie lunghe che tagliano la Tunisia, una volta abbandonata l’autostrada.
Un villaggio povero con poche botteghe minuscole, antiche e vecchie, piene di odori speziati. Poco più avanti una zona di espansione edilizia selvaggia, dove gli abitanti hanno costruito case alla meno peggio, mattone su mattone, in mezzo alla campagna di fango e resti di spazzatura disseminata dovunque. Chiediamo informazioni ad una vecchia contadina ai bordi della strada che taglia in due il villaggio. Sembra che nessuno si ricordi di questa storia, della numerosra presenza di siciliani che vi abitarono a lungo. La contadina ci indica una strada che porta ad alcune vecchie abitazioni. Proseguiamo qualche metro più avanti e chiediamo ad altri passanti. Finalmente un ragazzo sa qualcosa e ci guida fino ad una casa in stile coloniale. Sembra essere appartenuta a qualcuno che fu facoltoso. Oggi apparentemente abbandonata. Tutto intorno altre case nel fango, asini, galline e pecore.

Il ragazzo parla arabo. Pochissimo francese. Laura conosce un po’ di arabo e parla con lui, che continua a guidarci intorno. Nella parte bassa della casa a due livelli abita una antichissima donna. Una centenaria in abiti tradizionali. Ci guarda.  Le stringiamo la mano. Poi cominciamo a parlare con lei, grazie alla nostra guida improvvisata. Lei, il ragazzo e la gente che incontriamo è incredibilmente gentile e ospitale. La vecchia si ricorda tanto. Dei francesi, per cui lavorava, e pure degli italiani. Ha un volto di mille anni fa sul quale si scorgono antichi tatuaggi. Io la filmo e lei racconta, come se fosse abituata. In questi difficili passaggi di lingue diverse, tra italiano, francese e arabo, riusciamo a cogliere molto, quel tanto che anche a gesti si intuisce, creando trame. Poi la salutiamo e proseguiamo senza una precisa meta.
Una famiglia esce fuori da una casa con la porta aperta, aperta come tante altre che danno direttamente sulla strada di terra. I bambini ci vengono incontro e le madri dietro. Sono curiosi tutti. Ci invitano subito a prendere un “caua” (caffè). La casa è molto povera. Pochissimi oggetti e le mura impregnate di umidità, che fa male a tutta la famiglia, dice la mamma, e che provoca asma anche ai bambini. I bambini tutti raffreddati giocano con noi. Prendiamo il caffè nell’unica stanza più arredata, con i divani intorno alle pareti, il tappeto srotolatao in cui si cammina scalzi, al buio, in assenza di corrente elettrica. Tentiamo di comunicare con loro che ci parlano in arabo. La comunicazione è fluida.
Salutiamo anche loro e continuiamo a perlustrare quel territorio. Cerchiamo la casa di una scrittrice nata in Tunisia e vissuta in questi luoghi fino alla fine degli anni cinquanta.
Sappiamo che dobbiamo cercare LE FERME francesi, le fattorie in cui era impiegata tanta manodopera siciliana. Abbiamo delle indicazioni.

Ci addentriamo in alcuni sentieri. Ci fermiamo a parlare con altri contadini, che poco ricordano ma che ci invitano a prendere un the o un caffè nelle loro case. Dobbiamo proseguire comunque ma li ringraziamo. Ritorniamo sulla strada principale e ancora una volta rientriamo dentro la campagna seguendo una strada di fango. Ai nostri occhi appare un mondo rurale e povero.
Improvvisamente la strada prende varie direzioni. Una ci colpisce. In alto una fattoria di pastori e contadini. Le mura di recinzione bianche. Una casa araba. Improvvisamente correndo un pastore  lascia le sue pecore e viene verso di noi sorridendo.  “Marhaban”- ci dice - Benvenuti. 
Chiediamo anche a lui informazioni sulle famiglie siciliane. Non sa niente ma chiama suo fratello, guidandoci verso l’ingresso della fattoria. Arrivano il fratello e il resto della famiglia, con la quale stabiliamo un’immediata empatia. Lui, Amor, parla arabo e inglese, poco francese. Sa qualcosa e ci guida verso una zona rurale dove sembra che il tempo si sia fermato in qualche epoca remota. Ci addentriamo in zone interne e di fango, dove rischiamo di restare intrappolati. Non si può continuare e si torna indietro. Dobbiamo prendere vie migliori. Amor ci farà da guida per diverse ore. Giungiamo in case e fattorie povere dove ci vengono incontro pastori, nonne, galline e cani. Sguardi baci e abbracci stabiliscono la comunicazione. Poi Amor spiega cosa cerchiamo. Ci dicono di andare in fondo dove si scorge in lontananza un’altra casa. Sembra che ci abitassero degli italiani. Nel frattempo chiamo al telefono in Italia la mia amica scrittrice nata e vissuta li, per capire se ci troviamo nel posto giusto. Mi dice che forse siamo vicini. Non si può comunque proseguire in macchina. Si va a piedi. Io, Laura e Amor, arriviamo in un uliveto. Sembra la Sicilia. In cima, una casa araba e un ‘altra che sembra più siciliana per alcune caratteristiche architettoniche. Il pastore che ci viene incontro ci fa filmare qualche attimo, ma è preoccupato che il padre non sia d’accordo. Ci consiglia di andar via. Siamo contenti comunque. Lo salutiamo. Si è fatta sera e dobbiamo tornare. Amor ci invita ad andare a casa sua, nella fattoria bianca dove l’abbiamo incontrato. Un’accoglienza straordinaria, atteggiamenti, modi di fare, una convivialità e una certa eleganza, che abbiamo dimenticato. Prendiamo un caffè. Una casa semplice con baglio interno e le stanze tutt’intorno. Ci togliamo le scarpe e ci sediamo su alcuni cuscini disseminati per terra.
Ci sono ragazzini e bimbi. Giochiamo con loro. Gli mostro i filmati registrati. Poi uno di loro esce e subito dopo rientra lanciando verso di noi un tacchino bellissimo, che impaurito gironzola nella stanza. Ci dicono: restate a cena, lo ammazziamo per voi. Siamo colpiti e affatto abituati ad un invito di questo tipo. Ridiamo e tutti ridono. Ma non possiamo accettare. Dobbiamo comunque rientrare a Tunis per altri incontri già fissati. Andiamo via con la promessa di tornare da lì a pochi giorni. _____________________________________________________________________________________________
  
11 Febbraio 2012
La vecchia scuola francese
  
Viaggio verso la Grombalia, nel governatorato di Nabeul a sud-est di Tunis.
Cerchiamo in questa seconda tappa diversi villaggi, segnati in alcune mappe che ci siamo portati dalla Sicilia, dove hanno vissuto famiglie di siciliani che lavoravano nei vigneti dei coloni francesi, diventando in seguito essi stessi proprietari di quelle terre, e produttori di vino.
Dopo un giro a Grombalia, prese alcune indicazioni, ci dirigiamo in direzione uno di questi villaggi in cui sappiamo di trovare ancora esistenti segni della presenza italiana.
Dopo aver girato e rigirato per rotonde, avanti e indietro, e dopo aver domandato alcune informazioni, di una memoria che sembra molto evanescente, riusciamo a trovare la via. E'un villaggio rurale e antico. Notiamo ai lati della strada vecchie case fatiscenti, che somigliano alle fotografie storiche che abbiamo con noi. Sono quelle. La conferma arriva da Mohammed, il padrone del caffè vecchio e malandato, che sbuca fuori dopo la nostra sosta al centro del paesino.
È simpatico, curioso della nostra ricerca e sembra sapere molte cose. Ci guida nel piccolissimo villaggio. Dietro il suo caffè infatti si trova la vecchia cava per la conservazione delle botti di vino, appartenente a una famiglia italiana che lo produceva, e la chiesa cristiana ormai diroccata, costruita dai francesi, muto e silenzios testimone di battesimi e matrimoni, come tante sparse tra le campagne. Di fronte la vecchia scuola francese, ancora funzionante. Mohammed bussa alla porta e ci apre il direttore in ciabatte. Dopo un secondo siamo già dentro. La famiglia ci accoglie con la simpatia e la gentilezza che stiamo imparando a conoscere. Sono loro il corpo scolastico. Ci sono due classi: una più antica con banchi che sembrano volti rugosi, risalenti almeno agli anni '50, con le vecchie lavagne verdi. Poi l’altra classe, quella nuova, con i computer di ultima generazione e le lavagne magnetiche.
Arriva il caffè aromatizzato alla zagara e i biscotti. Arriva pure il custode, che scherzosamente dicono essere il vero capo. Ci raccontano molto, di come si viveva negli anni in cu loro stessi erano bambini, della presenza di piccoli siciliani, di come ancora oggi questa scuola mantenga questa memoria.   Filmo, come per prendere appunti, sono brevi riprese. Ripartiamo salutando tutti. Riprendiamo una strada principale. Lungo queste vie si scorgono palazzine coloniali francesi di rara bellezza, simbolo anche di un antico potere locale. Oggi sono abitate da contadini che sembrano sconoscere quella storia e comunque essere indifferenti al fascino che subiamo noi. E' diventata una piccola fattoria con pecore e galline e qualche mucca. Questi contadini sono sempre ospitali, continuano ad invitarci a prendere qualcosa da bere.
Altre strade evillaggi portano segni di questi passaggi siciliani, oltre che francesi naturalmente.
Ne scoviamo altre.
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12 Febbraio 2012
Fausto Giudice


Dal ritorno da Shousha Camp, il nostro punto fisso è la casa Di Fausto Giudice a Tunisi. Un intellettuale eclettico, un giornalista, membro di una rete internazionale di traduttori, che sta creando una piccolacasa editrice a Tunisi. Viviamo a casa sua. Sembra abbia avuto mille vite. Laura lo aveva conosciuto in uno dei suoi recenti viaggi in Tunisia. La suastoria, quella della sua famiglia è una storia di emigrazione. Isuoi nonni arrivarono dalla Sicilia in Tunisia in barcone.
Con lui registriamo unalunga intervista nel suo soggiorno e che monteremo presto in un trailer, che farà da apri pista al progetto-documentario.
L’incontro con Fausto apre a tante visioni sull’immigrazione e sulla vita.
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13 Febbraio 2012

Con Fausto Giudice , la mattina successiva, facciamo un tour nel centro di Tunisi, addentrandoci nel mercato storico di “Bab el Kadrha”. Poi in auto verso La Goulette, il porto di Tunisi, simbolo di quella storia di emigrazione, luogo di primo approdo per tanti che dalla Sicilia, notte tempo, partivano per giungervi in poche ore di navigazione. Sopravvivono ancora le vecchie case, ormai poche, la chiesa della Madonna di Trapani, che ogni anno viene festeggiata e portata in processione dai vecchi e nuovi italiani presenti, e da tanti tunisini, come già accadeva durante il periodo del protettorato francese. Oggi La Goulette è molto trasformata da un ammodernamento voluto dall'ex presidente Ben Ali, deposto dalla rivoluzione dei Gelsomini nel 2011. Siamo nel cuore di una delle “Pétite Sicile di Tunisi e della Tunisia”.
Gironzolando nella parte più vecchia, un anziano ci viene incontro con un grosso mazzo di foto: sono quelle de La Goulette antica abitata dai siciliani, ci dice. Qualcosa sa, ma il giusto per venderci le foto, che sono copie di tante altre che continua a vendere ai turisti.. Alcune le compriamo, sono belle e molto significative. Tutto costa molto poco in questo Paese. Un caffè non supera in media i 30 centesimi.
POMERIGGIO: Verso Ben Arous Abbiamo fissato da giorni un appuntamento con Jean e Berta. Dopo la definitiva espropriazione delle terre nel 1962, a causa dell'indipendenza, i due anziani fratello e sorella vivono a Ben Arous, un comune a pochi chilometri da Tunisi. Arriviamo. Loro ci aspettano. La casa da fuori è diversa dalle altre: ha il tetto spiovente e le tegole rosse o ocra. Cosi, ci dicono sempre in tanti, si distinguevano le case italiane da quelle tunisine, e ancora oggi è così.
Entriamo in casa. Come entrare immediatamente e improvvisamente in un’altra epoca, almeno negli anni ‘50. All’interno, per quanto alcuni elementi arabi siano presenti, la casa è come quella  delle nostre nonne siciliane. C’è un giardino interno, un baglio. Hanno ricreato in miniatura ciò che avevano in passato: la terra. Oggi è un orto di pochi metri quadri, un bel po’ di galline, le uova sempre fresche, tante cose affastellate in mezzo, un tavolaccio con i pomodori ad essiccare, qualche grappolo d'uva pensolante dalla tettoia in canne. E poi Jean ci mostra il suo orgoglio, che tiene gelosamente custodito all'ombra di un box, coperto da un telone: è la fiat 500 tenuta in ottime condizioni! Sembra uscita ieri dalla fabbrica.
Loro non avevano propretà e non hanno rinunciato a quel mondo, che è loro. Sono nati in Tunisia, e i loro nonni erano di Giarratana, un piccolo comune agricolo in provincia di Ragusa.
Italiani di Tunisia. Una terra di mezzo.
Tutto ciò emerge dai racconti che filmiamo.
La sera siamo di nuovo a La Goulette a cena con Fausto Giudice e Hamadi, un giornalista che ha lavorato in passato per Liberazione. Ceniamo a LA SPIGOLA, ristorante siculo-tunisino.
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14 Febbraio 2012
Quella dimensione senza tempo

La mattina ritorniamo nei luoghi di Amor, il contadino che ci aveva aiutato nella ricerca delle fattorie italiane.
Tornare in questa casa, da questa famiglia è per noi speciale, davvero difficile da raccontare. Un pranzo semplice a base di “SHAWARMA”, olive, uova di galline appena raccolte. L’impasto dello Shawarma lo prepara sul momento una delle donne della famiglia, che coinvolge Laura nella preparazione. Io giro con uno dei bambini per la casa col baglio al centro, le stanze, le stalle, i pollai. Ci capiamo appena ma stiamo bene. Siamo felici tutti.
Il paesaggio intorno è a perdita d’occhio. Quella dimensione non ha tempo.

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15 Febbraio 2012
Ci muoviamo tra quelle zone in cui abita la famiglia di Amor, dai nomi affascinanti per il suono delle parole: Oued El Kadra, da quelle parti cerchiamo ancora la “nostra” casa. La cerchiamo da giorni in verità. Per me è un po’ il simbolo del viaggio e ne sottolinea il senso.

Oggi il cielo è leggermente più aperto. 
C’è stato molto freddo e il cielo è stato sempre grigio o molto nuvoloso. Con poche aperture di sole. Quelle giornate che ti fottono le riprese, perché se sei al meglio dell’inquadratura e hai stabilito i parametri di’esposizione della luce della videocamera, una nuvola nera di pioggia che copre il sole, ti costringe in pochi secondi a cambiare le tue scelte, rischiando a volte di rovinare il risultato.
Ma oggi si deve trovare quella vecchia casa di campagna. Seguiamo alcune indicazioni precise. Entriamo in una zona chiamata “Le Barrage”, la diga. Sappiamo che seguendo questa strada potremmo trovare qualcosa. Inshallah, dicono da queste parti. Lo diciamo ormai anche noi. Funziona!

La strada taglia un paesaggio straordinario. Con una montagna blu, meravigliosa. E ulivi e fico d’india e agavi.
Zone poco abitate. Di tanto in tanto contadini e greggi di pecore e montoni. Ci si saluta tutti.
Noi continuiamo la ricerca testardamente. La strada è buona, ma poi diventa fangosa. Siamo sempre più interni e distanti dall’asfalto.
Altri paesaggi si aprono davanti a noi. Poi incrociamo un fuoristrada e due tizi dentro. Ci fermiamo. Da finestrino a finestrino cechiamo di comunicare. Cerchiamo la casa della famiglia italiana, domandiamo. Loro ci dicono che siamo arrivati. Eravamo certi, lo sentivamo! “Ancora un più avanti sulla destra” Shukran, Einshek barsha”.

Facciamo altra strada, ma di sentieri sempre più stretti sulla destra ne incontriamo diversi. Sembra che non si arrivi mai. C’è suspence, proprio come in un film.
Poi tutto di un colpo, eccola la casa diroccata col tetto spiovente e le tegole rosse cadute. Quello è il simbolo di una famiglia che ha vissuto e faticato per anni. Noi ci siamo arrivati. E ci rimanda a molte cose lette tra le righe dei libri di Marinette Pendola, la scrittrice che ha vissuto con la sua famiglia proprio in questa casa e questo territorio, con la montagna blu di fronte, quella di Zaghouan. Scendiamo dalla macchina. Per raggiungerla si va a piedi tra il fango. Non stiamo molto tempo. Si è fatta sera. Ore di ore per cercarla, ma siamo arrivati.

Ora si inizia davvero.
Filmo. E sono contento.

Questo viaggio adesso è soltanto l’inizio di una strada nuova che vogliamo percorrere. Ed ha mille volti.

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Diario redatto da Enrico Montalbano
Immagini tratte dal video "Kif kif - siciliani di Tunisia" di Enrico Montalbano e Laura Verduci