Memorie

I ricordi, le tracce del passato che riaffiorano da fogli di carta ingiallita, vecchie foto gelosamente custodite, racconti di coloro che hanno vissuto questa storia.
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Sono Renato Savalli e sono nato a Tunisi, così come anche i miei genitori perché il mio bisnonno paterno all'inizio del "900" emigrò da Erice (Trapani) per andare ad insegnare l'italiano alla famiglia del "bey" di Tunisi.
Poi diventò proprietario terriero di vigneti a Nassen situato a 11 chilometri di Tunisi, nonchè esportatore di vini. In seguito mio nonno continuò lo stesso mestiere. Ma dopo l'arrivo della colonia francese durante la seconda guerra mondiale mio nonno perse tutti i titoli e dovette ricominciare tutto.
Diventò bottaio a Tunisi capitale. Mio padre segui le orme di mio nonno, come bottaio, ma agli inizi degli anni ' 70, dopo aver lavorato in varie ambasciate francofone (fece pure il responsabile della migrazione tunisina verso la Francia) decise di fare il traslocatore internazionale, fino a quando un bel settembre del 1978 decise in fretta e furia di lasciarsi tutto alle spalle e di partire per Roma sempre per fare il traslocatore in una grande ditta. Da quel giorno fino ad oggi siamo rimasti nella città "eterna".


Mia madre ad una sfilata di moda. Era amica di Claudia Cardinale, a scuola.

Io a 2 anni!! dietro la foto c'é scritto "Giugno 1965". Guyse era conosciuto come fotografo sotto la galleria  il colis+®e su Avenue Bourghiba



A scuola

Mia madre, originaria di Mazzara del Vallo, nata pure lei a Tunisi e qui vestita con un abito tradizionale tunisino










Clara Contento

I miei nonni paterni sono arrivati, come molti italiani di Tunisi, dalla Sicilia ai primissimi del Novecento. Il nonno Carlo era di Alcamo e arrivò a diciassette anni; la nonna Grazia di Palermo. Ebbero tre figli, Francesco, Giovanni e Marcello. Nel 1948 Francesco sposò mia madre Ida, anche lei nata a Tunisi come le sue sorelle, Maria, Silvia, Matilde, e il fratello Ignazio. Mio nonno materno Giacomo, invece, era di Trapani e giunse a Tunisi a un anno, nel 1885; sua moglie, nonna Carmela, nata in Tunisia a Sousse, aveva i genitori che venivano da Pantelleria e raccontava che suo padre era arrivato a Tunisi lo stesso giorno in cui vi sbarcavano i francesi, nel 1881. Dal matrimonio dei miei genitori siamo nate mia sorella Silvana e io.
Dopo l'indipendenza della Tunisia nel 1956 i nonni materni e Silvia decisero di raggiungere Matilde, che si trovava già a Bologna. Successivamente li seguirono la zia Maria col marito e le tre figlie, quindi mia sorella e io. I miei genitori, invece, decisero di restare a Tunisi dove mio padre, ingegnere, continuò a lavorare per una ditta già francese passata in mani tunisine fino a quando morì nel 1978. Mia madre vi rimase da sola ancora per molti anni, poi ci raggiunse a Bologna dove, ultranovantenne, vive ancora, lucida e con una gran bella grinta, ma con tanta nostalgia del suo paese e tanti ricordi. Lei si che è la vera memoria storica! 




La Seconda guerra mondiale era stata molto dura per tutta la mia famiglia. Quando finì, nel 1945, il nonno paterno venne espropriato ed espulso dalla Tunisia assieme al secondogenito Giovanni, mentre il terzo genito Marcello era in un campo di lavoro nel sud del paese. Mio padre, invece, visto che lavorava per una ditta francese, poté rimanere e con lui sua madre. Il nonno morì a Roma, col rammarico di aver perso tutto quello che aveva realizzato durante tanti anni di lavoro e sacrifici e di non poter più tornare a vivere a Tunisi.
Quanto a me lasciai la Tunisia negli anni Settanta per venire a studiare all'Università di Bologna, però il mio legame col paese non si è mai interrotto. Abbiamo ancora la nostra vecchia casa estiva al mare a El Kram, vicino a Cartagine, dove siamo andati in vacanza fino a due anni fa. Purtroppo la malattia e la morte di mia sorella hanno interrotto la tradizione di quei lunghi soggiorni estivi; ma spero di poter riprendere al più presto le vecchie abitudini. Contrariamente ad altri italiani che sono stati costretti a lasciare la Tunisia in condizioni traumatiche dopo l'indipendenza, amo molto questo paese, la gente, la cultura e ritrovo sempre con enorme piacere le mie amiche d'infanzia tunisine. E' ovvio che la Tunisia di oggi non è più quella degli italiani di Tunisi e a volte ci si deve mettere di impegno per cercare di ritrovare un luogo, un ricordo; ma i rumori, i colori e gli odori sono sempre gli stessi. Mi considero fortunata di avere convissuto con tante etnie diverse, arabi, francesi, italiani, ebrei, maltesi, russi, perché ciò, a mio avviso, non ha potuto che arricchirmi e aiutarmi ad essere quella che sono oggi.






I ricordi sono tanti, belli, meno belli, malinconici. In questo momento alcuni mi vengono così, come dei flash in tutta libertà e potrei condividerli con quelli della mia generazione che oggi hanno più o meno sessant'anni. Le chiacchiere fatte alla domenica dopo la messa delle 11 davanti alla Cattedrale di Tunisi e continuate fino al caffè Panalex. Le acclamazioni "Aujè Bourghiba","Arriva Bourghiba", del popolo tunisino lungo le strade di Tunisi al passaggio del Presidente Habib Bourghiba in piedi in una Peugeot decapottabile, bello, imponente, retto, con il fez rosso in testa. Le donne tunisine avvolte nel loro "safseri", il velo bianco tradizionale lungo fino alle caviglie, bloccato in vita da una cintura interna, che erano abilissime a tener fermo attorno alla testa senza farlo scivolare stringendo i due bordi fra i denti. I venditori ambulanti con le loro carrette del carbone, del ghiaccio, della verdura, della frutta, del latte, che proprio gli italiani fermavano chiamandoli con un "Yà" per comprare la loro merce. I "Hamèl", poveri ragazzi malmessi accovacciati davanti all'ingresso del mercato centrale con una immensa sporta di paglia con due manici fra le gambe, la "coffa", che si contendevano le signore che venivano a far la spesa per poi accompagnarle a casa con la coffa straripante di frutta, verdura, formaggi, polli, pesce, faticosamente portata su una spalla in cambio di una misera mancia. I carretti con i cavalli, che aspettavano con i loro padroni dalle mani callose e sempre grondanti di sudore davanti alla Porta di Francia che delimitava la zona europea dalla Medina. Aspettavano che qualche cliente li chiamasse per trasportare i mobili necessari, reti, materassi, frigoriferi e enormi TV, nelle case prese in affitto al mare per l'estate. Le "delicieuses" di Salem, gelati fra due wafer quadrati che scattavano fuori da una macchinetta di metallo; i mottarelli alla fragola e panna ricoperti di cioccolato di Cacciola; il meraviglioso "nougat", torroncino gelato di Bebèr. Le brioches di Gervais e i cannoli di Paparone. I "frigolo bien glacès", quadrati di gelato di incerta provenienza ricoperti di cioccolato e avvolti in carta argentata di diversi colori venduti sulle spiagge, che appena scartati bisognava ingegnarsi a mangiare in fretta prima che si sciogliessero. Le "glibettes cahouìa", brustulini e arachidi, venduti anch'essi d'estate sulle spiagge, minuziosamente confezionati in coni fatti con carta da giornale o vecchie pagine di quaderno, accuratamente sistemati in ceste di vimini rotonde portate con grande abilità sulla testa da vecchi arabi con turbante e tunica bianca. I bomboloni, squisite frittelle di pasta con un buco al centro ricoperte di zucchero che si acquistavano dai frittellai. 





I venditori di "cakì salés", le gallette rotonde traforate o bastoncini salati, accovacciati davanti all'uscita delle scuole. Le baguettes e la pizza di Memmi, così buone che non si poteva far altro che entrare nel suo negozio arredato solo con due enormi banconi di marmo bianco colmi di grandi teglie nere sfornate una dopo l'altra. I "caldi caldi", pasta sfoglia salata ripiena di ricotta e pepe, venduti dai maltesi che li tenevano in grandi scatole riscaldate appese al collo. Gli ambulanti che passavano sotto casa urlando "robavecchia" e speravano di fare affari acquistando per poco cose usate. Le lunghe contrattazioni dei "marchands la vaisselle" che in cambio di vestiti o altro in disuso davano piatti, bicchieri, barattoli di vetro, vasi e altro. Quante volte ho visto mia mamma ritirare due o tre volte la roba da lei offerta prima di ottenere ciò che aveva già deciso di volere da uno di quei poveretti. Le suore di Notre Dame de Sion de la Rue de Hollande, dove tante di noi sono andate dalle elementari alla maturità. La "bouzadìa", un vecchio stregone nero pieno di amuleti e piume colorate che faceva ruotare gli occhi, danzava accompagnandosi con un tamburo e terrorizzava i bambini mentre gli adulti si divertivano a vedere lo spavento dei piccoli. Se ne andava solo se gli si dava qualche moneta. Visto che da piccola ero molto vivace, la mamma mi gridava "arriva la bouzadia" e io correvo piena di paura sotto il letto, mentre mia madre gli lasciava fare per un bel po' il suo show davanti al cancello di casa prima di allungargli qualcosa. Le "deghese", beduine nei loro vestiti coloratissimi fermati con spilloni d'argento, che passavano per le strade con una piccola coffa in mano e si offrivano di predire la buona ventura. E per finire il trenino bianco di legno che faceva la spola fra Tunisi e le spiagge della costa nord.
Adesso mi fermo perché ricordare fa molto bene, ma anche un po' male.