I CAMPI PROFUGHI

La testimonianza di un siciliano di Tunisia. Il rientro in Italia nei primi anni sessanta del novecento, l'esperienza nei campi profughi o di accoglienza, istituiti dal governo italiano di allora, per far fronte al grande rientro di migliaia di italiani che erano emigrati in Tunisia nell'immediato dopo Unità d'Italia. Dopo un secolo l'indipendenza del Paese nord-africano dalla colonia francese, induce molti a rientrare in Europa e scegliere tra Francia e Italia.

Francois Aridon - siciliano di Tunisia



TRASCRIZIONE DELL'INTERVISTA 

Io ho delle origini siculo toscane perché i miei nonni sia materni che paterni alla fine '800 inizio '900 hanno scelto di emigrare a Tunisi perché stavano bene, avevamo trovato il loro lavoro. Sono nato nel lontano 1950 quindi fatevi il conto di quanti anni ho e sono pure tanti. Quando nacqui io Tunisi era protettorato francese, io pensavo si dicesse colonia invece la parola più giusta era protettorato. I miei nonni paterni erano operai, mio nonno paterno lavorava nella muratura come capo mastro mi pare di ricordare e mio padre pure così, come gli altri fratelli. Mio nonno materno invece è stato un po' più avveduto un po più furbo, fortunato, perché si impiegò nelle ferrovie francesi (SNCF). Alla fine della guerra a mio nonno materno fu proposto di naturalizzarsi francese per continuare a lavorare e raggiungere la pensione nelle ferrovie. Mio nonno materno che non faceva parte della inteligentia degli altri parenti, che erano anche amanti di arti, di cinema, cultura, pittura, dimostrando di essere più avveduto, e poi capiremo perché, disse a un certo punto: non mi interessa essere nazionalista, io devo mantenere la mia famiglia, cioè sua moglie e sua figlia che sarebbe mia madre, e si naturalizzò francese e continuò a lavorare per sempre per le ferrovie francesi, quindi non ha subito l'exodus che hanno subito gli altri perché era cittadino francese, alla fine aveva il proprio lavoro ed è stato regolarmente pensionato dalla Francia.
Naturalizzarsi francesi essendo italiani suonava a quel tempo come un'offesa. Offesa alla buon anima di Predappio e di conseguenza venivano chiamati rinnegati, ma mio nonno non lo fece perché era francofilo, l'ha fatto per continuare a lavorare. Gli altri invece mio padre, tutti i fratelli, forse migliaia di altre persone, (ed è qua che subentra questa polemica che a me rode), hanno continuato a lavorare senza proteggersi, lavorarono per fabbriche, per grandi alberghi come un mio zio, senza pensare che un giorno diventati vecchi.. senza pensare che lavoravano in terra straniera essendo cittadini italiani, avrebbero quantomeno dovuto prendere contatti con l'ambasciata, cioè dire: Come siamo combinati noi italiani che lavoriamo qui? che sarà di noi un giorno?.. non hanno fatto assolutamente nulla. Quando poi successe che Tunisi ottenne l'indipendenza nel '56 credo, c'è stato questo fuggi fuggi. Chi come mio nonno ormai cittadino francese aveva pensato al proprio avvenire, al proprio lavoro si è trovato bene. Gli altri come mio padre si sono ritrovati in Italia a 40, 45, 50, 55 anni senza avere nulla in mano, dovendo ricominciare tutto quanto da zero. E qui c'è stato lo smistamento nei campi profughi, che io chiamo campi di concentramento. C'è chi se l'è passata bene, c'è chi se l'è passata male come noi, ma anche per colpa nostra. Questo a secondo ognuno ha avuto le proprie fortune.
Noi lasciammo Tunisi i primi di novembre del 1961. Poco prima di lasciare Tunisi con mia madre andammo all'ambasciata italiana per chiedere qualche consiglio, finalmente, e mi ricordo che la segretaria molto simpaticamente disse: signori mi rendo conto che voi siete persone di una certa cultura e di un certo stile nonostante siate operai, vi raccomando di evitare alcuni campi profughi, alcuni sono buoni, altri sono brutti. Ci diede una lettera di raccomandazione per andare in un campo profughi in Liguria, in provincia di Imperia. E ci fece vedere la foto di questo campo profugo, era una foto in bianco e nero, era un palazzo con tanti piani e mi ricordo perfettamente quello che la signore disse: " Cercate di evitare i campi profughi del sud. E ci ha dato questa raccomandazione per andare a Imperia. La nave che da Tunisi partì per l'Italia doveva portarci a Napoli, a Napoli saremmo stati smistati in questi campi profughi. Allora li avremmo potuto scegliere e si poteva scegliere di andare a Imperia. 
Purtroppo, dico purtroppo, la nave si fermò a Palermo.

La prima tappa la fece a Palermo. Arrivò la mattina presto a Palermo e ripartiva per Napoli la sera dopo. A palermo abbiamo avuto la bella idea di andare a trovare alcuni parenti di mio padre e la visita a questi parenti illuse mio padre che non aveva niente in mano (come lavoro precedentemente svolto), illuse mio padre che poteva tornare a Palermo e trovare una buona sistemazione. Siccome Palermo ci piacque, era una città come Tunisi abbastanza calda, con un clima mite. Cosa fece mio padre? Si consegnò ai boia dico io. Perché strappò questa lettera di raccomandazioni che doveva portarci al campo di accoglienza di Imperia e praticamente per essere vicini a Palermo, tanto era una cosa di un mese al massimo, scelse quel campo profugo che ci avevano sconsigliato, e addirittura finimmo in uno probabilmente dei peggiori. In provincia di Caserta, ad Aversa a pochi passi dal famoso manicomio criminale, in una frazione di Aversa chiamata Carinaro. Qui non solo non abbiamo concluso nulla perché a Palermo a mio padre vennero chiuse quelle porte che gli erano state prospettate, ma abbiamo anche subito lo choc di un campo profugo che non era di certo tra i più accoglienti. Ironia della sorte, quando incontrai la signora Finzi a quella conferenza a Villa Lampedusa a Palermo tanti anni fa, c'era un signore piemontese addetto al centro raccolta, mi raccontò che tutti i profughi accolti al centro di accoglienza di Imperia, che era sicuramente uno dei migliori, il meno traumatico, sono stati sistemati tutti nel modo migliore. Nel senso che ti accoglievano in questo centro, ti davano vitto e alloggio, il centro era discretamente accogliente e poi ti mandavano via tra virgolette quando trovavi un lavoro ed eri in grado di sistemarti. Noi non ne abbiamo usufruito e siamo caduti nel trauma più acuto ma questa è anche colpa nostra. e se vuoi ti spiego anche perché. Io mi chiamo Aridon, no? Mio padre si chiamava Aridon Luigi, il parente che siamo andati a visitare appena arrivati a Palermo era un zio di mio padre che aveva un figlio che si chiamava anche lui Aridon Luigi, cugini carnali. Però c'era una piccola differenza, mentre mio padre era profugo e di conseguenza un ex operaio, quest'altro Aridon Luigi era un ingegnere dei cantieri navali anche appartenente al Rotary Club. Ora tu sai benissimo che in una città come Palermo, e non parlo solo di Palermo, non sta bene giustificare un tuo parente che fa l'operaio mentre tu sei un dirigente, per cui mio padre, forse si era illuso che questo parente lo potesse aiutare, invece gli ha completamente chiuso le porte e qui ci siamo trovati nel ghetto palermitano. 

Le fasi della mia vita sono state così: exodus (il viaggio), Auschwitz (il campo di accoglienza) e il ghetto palermitano, e io mi sono svezzato in questo ghetto e ti confesso che mi ha fatto bene perché mi ha fatto capire tante cose. Quindi il campo di concentramento, il campo profughi era come un casermone dove c'erano delle case soltanto a pianterreno, non c'erano edifici elevati, c'erano case vicine tra loro. Le case erano composte da una stanza, in una stanza ci doveva entrare tutta la famiglia, c'erano dei bagni comuni, c'era il così detto bagno alla turca, le docce comuni (non so quante volte a settimana funzionavano), avevi diritto al riscaldamento una stanza si e una stanza no: noi fummo fortunati perché eravamo nella stanza con il riscaldamento, era una stufa a legna. Poi si andava a mangiare in una cucina grandissima con un vassoio tipo mensa militare, no? e ci davano da mangiare del cibo così, commestibile. Poi c'era una televisione per tutti, dove si andava a vedere la sera qualche volte le partite di calcio, il riassunto, e poi mi ricordo che si facevano feste tra noi e si metteva un po' di musica. La cosa un po' scioccante fu l'andata al cinema. L'andata al cinema è stata traumatizzata perché noi eravamo abituati alle sale cinematografiche francesi, tunisine. Una domenica andiamo al cinema, diciamo che noi avevamo qualche soldino, qualche, non avevamo molte cose. Andammo al cinema nel paese di Aversa. Non sapevamo come si andava al cinema in Italia, specie in alcuni cinema. Hai presente a Palermo l'ex Bomboniera? quando si marinava la scuola a Palermo si andava al Bomboniera e davano due film: erano western, davano Ercole, Maciste, Sansone... Ecco, noi finimmo in un cinema più o meno così, dove proiettavano I dieci comandamenti di Cecil De Mille, e il film poteva essere bello ma era scioccante l'atmosfera. Il totale casino che c'era in questo cinema tra ragazzini, quelli che passavano con i gelati durante la proiezione, cose veramente allucinanti e penose. E l'alternativa fu quella di andare a vedere "Romolo e Reno" però uscimmo dal cinema traumatizzati visto che a Tunisi si andava al cinema in un certo modo e con un certo stile. E questo, riconosciamolo, grazie alla Francia che ci dava la possibilità di avere sale cinematografiche molto belle, e film in prima visione, gli stessi film che uscivano in Francia, a Parigi uscivano a Tunisi. Quindi fu uno shock, ma questo perché eravamo in quel luogo perché se fossimo stati a Imperia non avremmo avuto... Quindi è stato tutto una cosa scioccante. 

L'unica cosa bella di quel periodo è che andammo a Napoli una volta e un'altra volta andammo a visitare Roma, così andammo a trovare parenti pure a Roma e poi rientrammo al campo di concentramento che lasciammo i primi di dicembre, dopo un mese circa. Però guarda credo che in questo campo profughi di accoglienza dubbia, non ti cacciavano via ma ti davano la possibilità di rimanerci fino a quando tu non trovavi qualcosa di meglio. In più ti davano 100.000 lire, che nel 1960 erano soldi per ogni componente della famiglia più 150.000 lire per capo famiglia, noi eravamo tre ai tempi e abbiamo beccato 350.000 lire per dare questo primo aiuto. Quando mio fratello fece il militare a Caserta, alla Reggia, io andai a trovarlo con il treno da Napoli a Caserta, e passando da Caserta, facendo questo tratto, si passa da Aversa, e credo di avere visto l'ex campo di concentramento totalmente trasformato però ti parlo già di venti anni fà. A quanto pare, per quello che mi hanno detto, alcuni profughi non sono usciti più, non se hanno ampliato, se avranno avuto una stanza in più, se avranno ampliato le doccie, non so cosa dirti, no? Però alcuni non sono usciti più e che venti anni fa abitavano ancora là! Le ultime notizie che ho avuto telefonando al comune dicono che il campo profughi non esiste più, adesso esiste un grandissimo spazio,un parcheggio, un supermercato... Ricordo anche un'altra cosa che a volte il cibo, questa è una cosa molto brutta da ricordare, tu potevi entrare e uscire come volevi da questo campo profughi, questo è chiaro, no? 

Anche se io dico che c'era il filo spinato, scherzo, non è vero. Però nella parte opposta all'ingresso principale era recintato e a volte molti profughi che non volevano il cibo, perché non piaceva, lo andavano a vendere ad alcuni campagnoli del luogo più poveri! Gli davano la pasta che non avevamo mangiato, il formaggio che non volevano mangiare. Mi ricordo che una volta gli diedi qualcosa e mi volevano pagare ma io dissi: no, no, guardi non è importante... l'altro: ma perché? ed io: no, no!. E poi mi ricordo un altro particolare di una volta venne un italo/tunisino in questo campo profughi, mi saluto e disse, era la fine del '61, che c'era stato un attentato contro Bourguiba. E tutti i miei concittadini profughi erano contenti che c'era stato, erano scontenti che non l'avessero ammazzato. Perché loro ritenevamo Bourguiba responsabile della loro permanenza in questo piccolo lager quando invece, secondo me, le cose non stavano così. Se mio padre avesse dichiarato il lavoro che faceva all'ambasciata, se avesse lavorato per un ente sicuramente non privato, nel 1961 con 30-35 anni di lavoro, saremmo potuti venire in Italia da turisti. Quelli che sono andati via giovani, si sono rifatti una vita in Italia, quelli come mio padre sono stati costretti a lavorare in Italia fino a 24 ore prima della morte perché non ha potuto raggiungere una pensione. Abbiamo vissuto dei traumi, traumi che si chiamavano povertà, non avere niente nelle mani per cui ci siamo dovuti rifare una vita qui. 

Un ricordo amaro che io ho di questa Tunisi, non è dovuto al fatto che ho rinnegato tutto... un po' ho rinnegato, ho rinnegato Tunisi, Palermo, adesso abito in Toscana, non è questo. é questa amarezza che si è, vi confesso, accentuata nel corso degli anni, forse perché sono diventato vecchio, perché dico: è possibile mai che ho dovuto vivere un'adolescenza e una post adolescenza con le scarpe bucate, per questa cultura... posso dire una parolaccia? per questa cultura del cazzo, io aggiungo fascista, che avevano?" Perché andare all'Ambasciata (italiana) a cercare un sindacato era un atto comunista.



ALCUNE TESTIMONIANZE STORICHE DI ALCUNI CAMPI PROFUGHI IN ITALIA
IL CAMPO PROFUGHI "LE FRASCHETTE" DI ALATRI (FR)




     Centro Raccolta Profughi "Le Fraschette" di Alatri (FR) anni '60 del novecento.





Alcuni articoli di Giornali dell'epoca








La relazione redatta dal Direttore del Campo Profughi delle Fraschette alla Prefettura di Frosinone nei primi anni sessanta (conservata nell'Archivio di Stato di Frosinone).


Il Centro di Raccolta Profughi è entrato ufficialmente in funzione il 30 settembre 1960.
Possiamo capire come era strutturato dalla Relazione sull'andamento del Centro Raccolta Connazionali profughi della Tunisia, Egitto, Congo, Angola e Tangeri, sito in località Le Fraschetteî del Comune di Alatri inviata al Prefetto dal direttore del Campo dott. Antonino Di Franco il 13 ottobre 1961


Nella qualità di Direttore del Centro Raccolta Profughi Le Fraschette pregiomi riferire a V.E. circa l'andamento del centro stesso che ospita alla data odierna 970 profughi provenienti dalla Tunisia e dall'Egitto e che ha iniziato a funzionare il 30/9/1960.
Il Centro di cui trattasi è stato istituito nell'estate dello scorso anno previ opportuni lavori di trasformazione e di adeguamento dei corpi di fabbrica preesistenti e facenti parte del disciolto Centro Raccolta Profughi Stranieri, gestito dalla Direzione Generale della P.S.
A seguito dei lavori anzidetti sono stati ricavati e resi disponibili n. 236 ambienti di varie dimensioni e destinati ad alloggi per altrettanti nuclei familiari.
Ciascun padiglione è servito da propri servizi igienico-sanitari opportunamente distinti per uomini e donne e adeguati alla bisogna.
II nuovo Centro, che occupa una superficie di oltre 20 ettari consta di tre sezioni denominate: Anticampo, Campo I e Campo II.
La capacità ricettiva totale, calcolata - in sede di previsione sulla media di 5 unità per ciascun nucleo familiare venne inizialmente determinata in 1.300 posti circa. In effetti, la diversa composizione dei nuclei familiari (composizione media 3/4 persone) ha ridotto la capacità complessiva massima a 1000 unità.
Anticampo: nell'anticampo sono situati tutti gli uffici della direzione del Centro, il Comando del Posto Fisso di Polizia, l'Asilo infantile, il magazzino, la cabina elettrica e due padiglioni destinati ad alloggio per i profughi con una capacità ricettiva di circa 180 posti.
Campo I: Nel Campo I oltre ad una delle due cucine (capaci ciascuna di 750 razioni) ed alla infermeria, sono siti otto padiglioni, alloggi con una disponibilità di n. 66 stanze e con una capacità ricettiva di n. 220 posti.
Campo II: Nel Campo II è situata la seconda cucina, tre batterie di docce - per complessive trenta cabine - tre lavatoi con tetto ed una moderna e funzionante scuola elementare costruita, a spese del Ministero della Pubblica Istruzione da una Ditta specializzata con elementi prefabbricati.
Vi sono, inoltre, otto padiglioni alloggi, con una disponibilità di n. 128 stanze e con una capacità ricettiva di circa 600 posti.
Ogni stanza è arredata con letti, tavolo e sgabelli.
Infermeria: è costituita da quattro corsie, di cui una in grado di funzionare come camera díisolamento e da ambulatorio medico, è servita da un numero sufficiente di docce e gabinetti.
L'infermeria, che ha una capacità ricettiva massima di 30 posti letto, è dotata di tutto il materiale sanitario, chirurgico ed ambulatoriale occorrente.
Posto Fisso di Polizia: è sistemato in un padiglione dell'anti-campo ed è costituito da 5 militari alle dipendenze di un brigadiere di P.S.
Uffici Amministrativi: l'amministrazione del Centro, presso il quale si avvicenda in missione lo stesso personale di questa Prefettura si articola nei seguenti reparti: Direzione, Segreteria, Movimento e Statistica, Economato, Magazzino e Copia.
La direzione sanitaria del Centro è affidata al Dott. Paride Baldassarre - libero professionista - residente in Alatri.
Il servizio religioso è affidato al Rev. Don Gino Tomassi.
Al dott. Baldassarre ed al Rev. Tomassi viene corrisposto mensilmente il compenso rispettivamente
di £. 42.000 e 21.000, fissato dal Ministero.
La gara è stata effettuata da questa Prefettura in base alle apposite direttive del Ministero.
Il vitto, confezionato, a seconda dell'età degli ospiti, sulla base di tre distinte tabelle dietetiche (all. A, B e C) approntate dal Ministero dell'interno e con le migliorie apportate dalla Ditta vincitrice della gara di appalto, è sano ed abbondante, tanto è vero che più di qualcuno degli assistiti vende ai contadini della zona parte del vitto di sua spettanza.
Per l'espletamento del servizio la Ditta si avvale di personale proprio, attualmente costituito dal rappresentante della Ditta, da un capo cuoco, due cuochi, 6 aiutanti di cucina, 6 garzoni e un magazziniere.
Al controllo della commissione, composta anche da tre profughi liberamente e periodicamente (ogni 30 gg.) eletti da tutti i capi famiglia ospiti del Centro, si aggiunge poi quello effettuato, assai frequentemente, dal Sanitario sotto il profilo igienico e qualitativo delle derrate alimentari e della confezione delle vivande.
L'ottimo trattamento vittuario, la completa assistenza sanitaria, scolastica, religiosa, ricreativa (esiste nel Centro un moderno e spazioso bar con annessa sala televisiva), la più cordiale comprensione da parte della Direzione nei confronti dei connazionali assistiti ha creato in costoro un senso di fiducia e di gratitudine verso l'Autorità centrale e provinciale che è valso, peraltro, a rendere meno triste la loro situazione di profughi.
Per quando attiene all'ordine ed alla disciplina della convivenza essa è perfetta. In 14 mesi di funzionamento del Centro, non si è registrata alcuna protesta o lamentela di fatto da parte degli assistiti. Anche sotto il profilo dell'ordine pubblico le cose sono sempre andate nei migliori dei modi. L'unico reato verificatosi è stato quello di ubriachezza molesta commesso da un profugo ora dimessosi nel mese di ottobre dello scorso anno.
Come dianzi accennato, esiste nel Centro una scuola elementare di Stato comprendente le cinque classi, con una popolazione scolastica di circa 125 unità.
Per quanto concerne l'Asilo Infantile - sono già pronti i locali - lo scrivente ha già preso contatti con l'Anno Mondiale del rifugiato che a quanto sembra provvederà a proprie spese all'acquisto della necessaria attrezzatura didattico-ricreativa.
L'unica vera preoccupazione che assilla i profughi è quella del reinserimento nella vita economico- sociale del Paese, preoccupazione maggiormente avvertita in questa Provincia che conta già circa 15.000 disoccupati.
AI riguardo giova però ricordare che questa Prefettura non ha mai mancato di svolgere ogni possibile intervento, d' intesa con l'Ufficio Provinciale del Lavoro, al fine di agevolare i predetti connazionali nella ricerca di una occupazione lavorativa.
L'azione svolta, pur se necessariamente condizionata dalla particolare su accennata situazione della Provincia di Frosinone, ha tuttavia sortito in moltissimi casi esito positivo.
Il bilancio è dato dalle seguenti risultanze alla data odierna: Connazionali assunti in forza dal 30/9/1960 (data di inizio di funzionamento del Centro) n. 1795. Connazionali dimessi perché avviati al lavoro n. 713. Al riguardo è opportuno precisare che la maggior parte dei dimessi era in possesso di una qualificazione professionale, mentre per la maggioranza degli attuali ospiti del Centro non può, purtroppo, dirsi altrettanto.
Appena il caso di rilevare, poi, che la maggior parte dei dimessi ha trovato lavoro nel Nord Italia e precisamente nell'area del triangolo industriale Torino-Milano-Genova.
L'assistenza a favore degli ospiti del Centro è prevista dalla legge 25/10/1960 n. 1306 che estende ai connazionali rimpatriati dall'Egitto, dalla Tunisia e da Tangeri le provvidenze spettanti ai profughi in base alle leggi 4/3/1952, n. 137 e successive.
Tali provvidenze, oltre alla assistenza vittuaria ed alloggiativa nel Campo, comprendono quelle sanitaria, ospedaliera, farmaceutica e specialistica.
Inoltre i minori, di età superiore agli anni 6, su richiesta dei genitori, vengono ricoverati in idonei istituti con retta a carico dello Stato e così pure, a loro richiesta, gli adulti inabili.

In base alle citate disposizioni legislative ai profughi che si dimettono volontariamente dal Centro viene corrisposta, una tantum, il premio di primo stabilimento di £. 50.000 pro capite nonchè il sussidio giornaliero post liquidazione di mesi 6 nella misura di £. 125 per il capo famiglia e £. 100 per i componenti oltre la quota maggiorazione trattamento assistenziale di £. 564 mensili pro capite.


Ringraziamo Giulio Rossi - Gocce di Memorie di Alatri (FR) per il materiale fotografico e i documenti di archivio gentilmente forniti (canale youtube: Campo le Fraschette).


IMMAGINI DEL CAMPO "LE FRASCHETTE" DI ALATRI OGGI





























Ringraziamo Giulio Rossi - Gocce di Memorie di Alatri (FR) per il materiale fotografico

Una breve testimonianza dell'epoca, di una guardia addetta alla sicurezza del Campo Profughi delle Fraschette, che descrive come era organizzata la vita al suo interno: 

"Il Campo delle Fraschette fu costruito lì perché era un luogo lontano dalla stazione ferroviaria di Fiuggi e Frosinone e così i prigionieri politici non potevano scappare. Inizialmente il Campo era stato costruito per loro. Con il passare del tempo ad abitare dentro il Campo furono profughi per lo più Tunisini. Infatti all'interno del Campo c'era una scuola dove i bambini imparavano l'italiano, perché loro parlavano francese. Il Campo era una piccola comunità all'interno oltre alla scuola c'era il pronto soccorso, il cinema, un bar ed una chiesa. Ad ogni famiglia venivano assegnate una o due stanze in base al numero delle persone. In una stanza si dormiva e nell'altra si mangiava il cibo che gli veniva dato alla mensa. I bagni e le docce invece erano in comune. C'era il lavatoio per lavare i panni. I profughi potevano entrare ed uscire liberamente dal campo ed avere rapporti con gli abitanti del posto. Una o due volte l'anno arrivava anche il circo. Ma la cosa che non tutti sanno è che all'interno del Campo c'era una piscina." Scritto da Domenico Genovese



Ringraziamo Giulio Rossi - Gocce di Memorie di Alatri (FR) per il documento e la foto